Il 24 Aprile 2015 ricorre l’anniversario dell’Olocausto del popolo Armeno causato dai Giovani Turchi dell’Impero Ottomano, e il centenario è l’occasione per riaprire una pagina di storia ancora vittima dell’oblio, del negazionismo e della propaganda.
Nel suo saluto ai fedeli armeni, accorsi nella Domenica in Albis in Basilica vaticana per celebrare il martirio armeno costato la vita a circa 1,5 milioni di persone, Papa Francesco ha usato il termine genocidio scatenando le ire del capo di Stato turco, Tyype Erdogan e causando una crisi diplomatica internazionale (Zenit.it).
E mentre la Turchia ha minacciato il Papa di “non commettere più questo errore”, in difesa di Francesco è intervenuta la Casa Bianca e il Parlamento Europeo che mercoledì 15 aprile ha approvato una risoluzione, pur timida, che riconosce il “genocidio armeno” ed invita Ankara ad aprire i propri archivi per accettare il passato (Avvenire).
Ma il governo turco non si piega e prosegue la sua linea negazionista accusando di complottismo chi invita a riconoscere l’Olocausto armeno, minacciando perfino l’espulsione coatta dei 100 mila armeni residenti (Corriere della Sera), ma oltre alle parole i fatti: il richiamo del proprio ambasciatore presso la Santa Sede ed un attacco hacker al sito del Vaticano.
Ancora una volta la storia viene negata, ancora una volta le parole che furono di Hitler agli albori del delirio nazionalsocialista “chi parla ancora oggi dell’annientamento degli armeni?” suonano drammaticamente attuali (La Stampa).
E allora risulta ancor più interessante la lettura del libro Völkermord an den Armeniern – il genocidio armeno – scritto dallo storico tedesco Michael Hesemann il quale ha scoperto inediti particolari consultando in Archivio Vaticano le corrispondenze tra Benedetto XV e la diplomazia vaticana con il Sultano Mehmet V, chiedendo invano misericordia per gli armeni nel tentativo di scongiurare ciò che già Giovanni Paolo II definì il primo genocidio del XX secolo (Aleteia.it).
Tuttavia, le polemiche odierne se hanno il proprio centro nella disputa storica, vanno anche lette alla luce di quanto avviene in Medio Oriente a danno di tutte le minoranze presenti nell’area e per cui Ankara si sta isolando dal resto del mondo occidentale. E’ solo di qualche mese fa la notizia che la Turchia chiuse le frontiere al popolo curdo che si è battuto coraggiosamente contro l’avanzata dell’Isis arrivata alla città di confine, Kobane, gettando l’ombra della collaborazione tra gli islamisti e lo stato turco (Corriere.it).
Appare quindi evidente che la Turchia, il Paese definito anni fa da Gheddafi “il cavallo di Troia per l’Europa”, abbia evidenti problemi interni sia dal punto di vista politico sia da quello culturale e fintanto che non farà onestamente i conti col passato il rischio di nuove Shoà è dietro l’angolo. Ma anche la Comunità Internazionale rivela fasi alterne di denuncia e silenzio rispetto ai massacri che quotidianamente vengono perpetrati alle minoranze, soprattutto cristiane, nel mondo. E il prossimo giugno Papa Francesco si recherà a Sarajevo, altra terra di fuoco in cui il desiderio di verità ribollisce nelle anime ferite di quello che fu la polveriera balcanica. Non ci resta che fare memoria, e pregare.

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