<< Ho deciso di ritirare le dimissioni presentate lo scorso 12 ottobre>>. Così Ignazio Marino, sindaco di Roma, alle 16:53 del 29 ottobre conferma le illazioni delle ore precedenti che paventavano un suo dietro-front. E così è stato. Il sindaco della capitale, travolto dagli scandali di Mafia Capitale, e messo all’angolo dalla segreteria del Partito Democratico dopo presunti scontrini pagati con i soldi del comune, rilancia e spiazza i piddini. Le motivazioni date da Marino sono caustiche:<< Ritengo ci sia un luogo sacro per la democrazia che è l’Aula, il Parlamento di un Consiglio comunale. Io sono assolutamente pronto a confrontarmi con la mia maggioranza, a illustrare quanto fatto, le cose positive, gli errori, la visione per il futuro ma quello è il luogo della democrazia>>. Questa dichiarazione è molto più di un dietro-front, è una dichiarazione di guerra al modus operandi del nuovo Partito Democratico Renziano. Marino, riportando la questione entro le aule deputate per decisioni di competenza del Comune, ha mandato un segnale forte al Presidente del Consiglio, ricordandogli che la segreteria di un partito, per quanto influente sia, non può arrogarsi il diritto di mandare al voto anzitempo un Comune, tanto meno se si tratta della Capitale. Semmai chi detiene tale diritto è il popolo, legittimamente rappresentato dal resto dei membri del Consiglio Comunale. Quindi, perché si vada alle urne anticipate si devono dimettere almeno 25 consiglieri sui 48 eletti.
Marino ha quindi usato l’astuzia e – messo all’angolo – ha dapprima annunciato le dimissioni, smosso il polverone del toto candidati, tenuto sulle spine media e decisori politici, e all’ultimo momento ha ricordato che lui è ancora il sindaco democraticamente eletto. E democraticamente deve semmai essere sfiduciato.
Con questa mossa, anche se sarà sfiduciato, ha messo in scacco i vertici del PD, ed in particolare il Renzi avvezzo a sottrarre potere popolare a vantaggio del potere centrale (vedasi Provincie e Senato). Volendo quindi allargare la prospettiva, la “questione Marino” permette l’emersione del problema della democrazia interna al Partito di via del Nazareno, e più in generale di come oggi la politica sia progressivamente privata della sua componente democratica e popolare. Sono note le percentuali di astensionismo crescenti ad ogni tornata elettorale, altrettanto i trend dei partiti “anti-qualcosa”. Quanto sta accadendo nella Capitale non farà altro che ingrossare le fila degli astensionisti e dei populisti dell’ultima ora. A che serve votare se poi le faide interne di un partito faranno saltare la volontà elettorale? A cosa serve partecipare alla vita politica del proprio comune se ormai è diventata una bolgia tutti contro tutti? Domande che più di un cittadino si pone.
Roma quindi appare come lo spettro del più generale declino politico ed istituzionale italiano, e il Partito Democratico appare il partito più rappresentativo di tale degenerazione.

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