Di fronte ad una legge ingiusta, ovvero contraria all’ordine naturale voluto da Dio, come si deve porre un cattolico?
Divorzio facile, aborto libero, contraccezione diffusa, educazione pan-sessuale, eutanasia, utero in affitto, manipolazione di embrioni umani, equiparazione al matrimonio delle unioni omosessuali, poligamia, divieto di obiezione di coscienza, sono in questi anni questioni sempre più dibattute nei diversi ordinamenti statali, con leggi che dichiarandosi finalizzate all’estensione dei diritti individuali, restringono il campo di chi si oppone nel nome del diritto naturale ed oggettivo. Data la radice liberal-radicale di derivazione illuminista di tali leggi, che fare di fronte alla pretesa imperativa di comandi umani contrari al diritto naturale? E’ sufficiente un’opposizione “settoriale” a singoli provvedimenti?
Anzitutto va fatta una distinzione tra il concetto liberale all’obiezione di coscienza e quello classico-cristiano, laddove il primo la intende come “diritto soggettivo assoluto alla disobbedienza” (cfr. D. Castellano) mentre nel secondo l’obiezione di coscienza testimonia la fedeltà alla legge di Dio, all’ordine morale oggettivo. Cioè, se la concezione liberale fonda il diritto all’obiezione di coscienza nel principio di autodeterminazione dell’individuo, nella concezione classico-cristiana tale esercizio è un dovere morale di fedeltà al disegno divino. Leone XIII, nell’enciclica Diuturum Illud riprendendo la distinzione evangelica di ciò che spetta a Cesare da ciò che spetta a Dio (cfr Mt22,21) afferma: “Se a qualcuno dunque avvenga di trovarsi costretto a scegliere fra queste due cose, vale a dire se disprezzare i comandi di Dio o quelli dei principi, sappia che si deve obbedire a Gesù Cristo”.
Pertanto l’obiezione di coscienza di fronte a leggi ingiuste per un cattolico non è tanto un diritto, quanto un dovere. Ma serve un’ulteriore precisazione: come si definisce “ingiusta” una legge? San Tommaso d’Aquino, nella Summa Theologiae afferma: “Lex humana intantum habet rationem legis, inquantum est secundum rationem rectam: et secundum hoc manifestum est quod a lege aeterna derivatur. Inquantum vero a ratione recedit, sic dicitur lex iniqua: et sic non habet rationem legis, sed magis violentiae cuiusdam”; ossia: “la legge umana in tanto è tale in quanto è conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza”. Perciò, se una legge ingiusta non è legge, esiste il diritto-dovere di disobbedire ai comandi in essa espressi. E ciò in forza del fatto che in ogni uomo è inscritta nel proprio cuore la legge eterna di Dio che sant’Agostino definisce come la ragione o la volontà di Dio che comanda di conservare l’ordine naturale e proibisce di turbarlo (S.Agostino – Contra Faustum).
San Giovanni Paolo II ha trattato il tema della legge morale naturale particolarmente nella Veritatis Splendor, in cui afferma: “anche se nella riflessione teologico-morale si è soliti distinguere la legge di Dio positiva o rivelata da quella naturale […] non si può dimenticare che queste e altre utili distinzioni si riferiscono sempre alla legge il cui autore è lo stesso unico Dio, e il cui destinatario è l’uomo […]. In questo disegno non c’è nessuna minaccia per la vera libertà dell’uomo; al contrario l’accoglienza di questo disegno è l’unica via per l’affermazione della libertà” (VS 45). Non va dimenticato che questa enciclica circa alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa è stata pubblicata nel 1993, periodo in cui già si profilava uno dei più grandi attacchi internazionali alla legge naturale, e di conseguenza alla famiglia e alla vita, attuati dalla Conferenza del Cairo e di Pechino nel 1994 e 1995, e che vedeva lo Stato Vaticano unito ai Paesi del Terzo mondo contro i Paesi più industrializzati promotori di politiche neo-malthusiane.
E un anno poco più tardi, il santo polacco ha scritto l’Evangelium Vitae, sul valore e l’inviolabilità della vita umana. Al punto 68, citando il comando di At5,29 “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” riguardo al rapporto tra legge civile e la legge morale così si esprime: “Una delle caratteristiche proprie degli attuali attentati alla vita umana, consiste nella tendenza a esigere una loro legittimazione giuridica, quasi fossero diritti che lo Stato, almeno a certe condizioni, deve riconoscere ai cittadini e, conseguentemente nella tendenza a pretendere la loro attuazione con l’assistenza sicura e gratuita dei medici e degli operatori sanitari”. E al punto 69 prosegue: “In ogni caso, nella cultura democratica del nostro tempo si è largamente diffusa l’opinione secondo la quale l’ordinamento giuridico di una società dovrebbe limitarsi a registrare e recepire le convinzioni della maggioranza e, pertanto, dovrebbero costruirsi solo su quanto la maggioranza stessa riconosce e vive come morale”. La radice comune è individuata nel “relativismo etico” ripreso con forza nel magistero di Benedetto XVI, ma per avviarci alla conclusione è bene riprendere quanto San Giovanni Paolo II ha affermato al punto 73 – sempre di Evangelium Vitae – e che risponde alla domanda iniziale circa il che fare?
Ebbene, le leggi intrinsecamente ingiuste “non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza”. E di particolare interesse è stata poi l’indicazione che il Papa ha fatto circa il comportamento dei parlamentari cattolici di fronte alla votazione di leggi ingiuste, elaborato ulteriormente nella famosa nota dottrinale del 2002 circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, edito dalla Congregazione per la Dottrina della Fede presieduta dal Card. Raztinger.
Quindi il cattolico, sia esso impegnato attivamente nella vita pubblica o meno, ha dei precisi obblighi di comportamento ben riassunti nel Compendio di Dottrina Sociale ai punti 399: diritto all’obiezione di coscienza; e 400-401 sul diritto alla resistenza e i suoi gradi. Fondando il diritto di resistenza nel diritto di natura, la resistenza può essere “attiva”, ovvero ricorrendo alle armi a determinate condizioni, o “passiva” ritenuta preferibile e “più conforme ai principi morali e non meno promettente di successo”. Ma affinché la resistenza passiva abbia effetto vincente, è necessario riscoprire un’opzione irrinunciabile per qualsiasi cristiano: l’opzione del martirio, anche al costo della propria vita.
L’intera storia della Salvezza è piena di martiri che hanno versato il proprio sangue come pegno di fedeltà a Dio e alla sua Legge, e in tema di fedeltà alla dottrina dell’indissolubilità del matrimonio si vuole ricordare il martirio di San Tommaso Moro, patrono dei governanti e dei politici, ucciso da quel Re mondano che pretendeva di piegare “il disegno voluto da Dio sull’uomo e la donna” (cit. Papa Francesco) secondo i propri vizi.