Articolo pubblicato su L’Officina

In questi giorni di grande confusione tra golpe falliti, attentati, squilibrati, mussulmani che vanno a messa e cristiani che non ricordano l’ultima volta che sono entrati in chiesa, politici della stessa area che se le cantano di santa ragione, costituzionalisti per il Si e per il No, uomini che si spacciano per madri portando al mare bambini prodotti come gadget, massoni che si spacciano per centristi, centristi che diventano centrini, stranieri che vivono in hotel e pensionati che dormono per strada, insomma in un tempo in cui è tutto sotto sopra, mi chiedo: che cosa fonda una comunità? E’ sufficiente un contratto sociale? O c’è altro che può definire un gruppo di persone “comunità” e non semplici parti che mediano i conflitti?
E poi: perché le comunità (etniche, istituzionali, politiche, religiose o altro) si trovano accomunate da conflitti, deflagrazioni, implosioni, scomposizioni? E più nello specifico: come mai l’area politico-culturale più rappresentativa dell’Italia sta soffrendo una crisi che dal 2011 (anno del golpe finanziario contro Berlusconi) non accenna a diminuire, anzi, sta creando una voragine apparentemente incolmabile?
La risposta è da cercare negli elementi valoriali nei quali un gruppo di persone si identifica, si riconosce, si accetta, si regolamenta. Valori che oggi si sono liquefatti nella società fluida e nel pensiero debole. Pensiero che proprio perché debole, in quanto povero di principi, si fa bullo e fa a cazzotti in un tutti contro tutti, in cui il più furbo e il più forte hanno la meglio.
Quindi, come riscoprirsi comunità? E più in particolare: come riscoprirsi comunità politica che sappia ordinare al Bene la società?
A questioni complesse servono risposte altrettanto complesse, pertanto bisognose di collaborazione, ma una provocazione iniziale la suggerisco ai lettori, desideroso di contributi per avviare una proficua discussione. Secondo me per riscoprirci comunità dobbiamo ripartire dalle fondamenta e chiederci: qual è la nostra storia? Quali i valori che come persone ci possono accomunare? Quali invece le paure maggiori? Quale potrebbe essere il bene comune possibile in cui cooperare? Domande utili anche per chi pensa alla Verona di domani.
Sono quesiti preliminari che potrebbero sembrare astratti, ma forse proprio l’astrazione in un tempo di pragmatismo aggressivo e di visioni di corto respiro ci permetterà di navigare nei mari sconfinati della fantasia, e quindi di trovare sogni comuni. Chi di noi, infatti, non sogna un mondo migliore in cui vivere? Chi tra noi non sogna relazioni autentiche? Chi di noi non brama la propria ed altrui felicità?
C’è bisogno di tornare a pensare, prima di fare. C’è bisogno di sognatori che sappiano intercettare le aspirazioni e i desideri di un popolo orfano di riferimenti. Attendo fiducioso…

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