Le elezioni presidenziali in Francia hanno confermato due fattori che nessun politico accorto può ignorare:
a) ad ogni tornata elettorale non ci sono né vinti né vincitori;
b) le categorie politiche ottocentesche sono al tramonto.
Sul primo aspetto bastino le parole di Ilvo Diamanti che, sebbene riferite all’Italia, dopo le elezioni americane, ungheresi, austriache ed olandesi, sono generalmente valide: «ogni voto – politico, europeo, amministrativo – diventa un’occasione imprevedibile». Ogni elezione diventa un «salto nel voto». Ciò è valido soprattutto per i partiti tradizionali, o se preferite storici. L’esempio più lampante è proprio quanto avvenuto in Francia: per la prima volta nella storia della quinta Repubblica Socialisti e Repubblicani sono rimasti fuori dalla corsa all’Eliseo. Le Pen era la vera candidata da sconfiggere, tanto che l’establishment è riuscito a pareggiare inventando un movimento fuori dalla tradizione come En Marche.
Pochi mesi prima abbiamo assistito alla vittoria di Trump. I Repubblicani statunitensi si sono dovuti affidare ad un elemento sui generis della politica, e i Democratici se avessero puntato su Sanders, altro fuori dagli schemi, avrebbero giocato un’altra partita.
Gli Italiani al referendum costituzionale votando No hanno sonoramente bocciato l’establishment che ha cercato di scimmiottare il cambiamento col giovane burattino di turno.
In Austria il partito di Hofer ed in Olanda quello di Wilders hanno tenuto sulle spine i palazzi del potere europeista e della finanza internazionale fino all’ultimo. In Italia il M5S e l’alleanza Lega Nord – Fratelli d’Italia destano preoccupazioni nei medesimi ambienti.
E arrivo al secondo punto.
Le categorie destra-sinistra sono ormai superate. Dopo quasi due decenni in cui è esplosa la globalizzazione, e in Europa in cui si subisce il 4° Reich tedesco (non dimentichiamo la situazione greca), i popoli non credono più alle storielle che vengono raccontate, contra factum non valet argumentum.
I globalisti accusano i sovranisti di far leva sulle paure più recondite, i sovranisti accusano i globalisti di opprimere i popoli. Ma sono queste le due nuove categorie su cui bisogna ragionare: chi sostiene che la globalizzazione porti benefici universali, e chi invece ritiene che la globalizzazione abbia aumentato la disparità, il conflitto sociale, l’insicurezza. Ne consegue il riposizionamento politico e partitico. A tempi nuovi devono corrispondere risposte nuove.
Lettera politica pubblicata per L’Officina.