Il corso Animatori Laudato Sì promette bene. La prima lezione introduce le origini, finalità e scopi del Global Catholic Climate Movement riassunte da Cecilia Dall’Oglio in due valori. “Camminare insieme“: gli animatori sono chiamati a tessere legami comunitari. Il GCCM è un movimento globale composto da migliaia di animatori e promosso da circa 700 organizzazioni. L’obiettivo è sollecitare una presa di coscienza dei disastri ecologici per tornare a camminare all’unisono e far cambiare rotta a questa casa comune ammalata – come chiesto dal recente documento sugli orientamenti pastorali sugli sfollati climatici – e capire che bisogna superare la concezione hobbesiana di un mondo di soci, uscire dall’autoreferenzialità e scoprirsi fratelli tutti (cf. Lett. Enc. Fratelli Tutti n.101). Quindi la Chiesa e i suoi movimenti devono favorire questa corresponsabilità dell’intera famiglia umana per tessere un mosaico (fraternità), che è cosa bene diversa dal costituire un collage (mondo di soci).

Il secondo valore espresso è quello di mantenere un “approccio integrale“. Come spiega bene la Laudato Sì, i deserti interiori sono la causa prima dei deserti esteriori. Quindi va tenuta insieme la dimensione spirituale, con quella degli stili di vita personali e comunitari, e comprende pure la dimensione sociale pubblica e politica. Questo approccio è fondamentale per non scadere in forme di radicalizzazione ideologica a cui si è sempre tentati.

Riconoscersi universalmente corresponsabili in una dimensione integrale del nostro essere chiama a due aspetti molto cari alla riflessione teologica e spirituale cristiana: contemplare e agire. Nella pratica della Lectio divina la Contemplatio è il quarto momento, sta nel mezzo della pratica, mentre l’Actio è l’ottavo ed ultimo atto. La contemplazione chiede di ascoltare Dio tramite la sua Parola, l’azione è conseguenza di quanto contemplato e chiede una scelta personale, una presa di posizione netta di fronte alla Parola contemplata. Notare che già il vocabolo contemplazione ha il suffisso “azione“. Non è infatti un atto passivo, che si subisce. Ma è qualcosa di decisamente attivo, un movimento che – si potrebbe dire – trascende sé stessi.

La lezione prosegue con due interventi. Stefania Papa, del Movimento dei Focolari e docente presso l’Università della Campania “Vanvitelli” illustra le cause e le conseguenze dei cambiamenti climatici. Le slide parlano chiaro, e possono essere comprese anche da chi si rivela maggiormente scettico. La crisi ambientale in atto, spiega la docente, è frutto di tre crisi specifiche: climatica (estremizzazione degli eventi meteorologici); della biodiversità (dal 1970 al 2010 sono diminuite del 76% le specie di acqua dolce); sanitaria (quella che stiamo vivendo con il Covid-19, ma che molti ritengono sia solo la prima tanto che si sta parlando con preoccupazioni crescenti di un rischio di panzoozia).

Papa illustra i dati che dimostrano come l’attività umana, a partire dalla rivoluzione industriale e la successiva globalizzazione, abbia contribuito in maniera determinante alle criticità che i climatologi oggi rilevano, a partire dall’accelerazione dello scioglimento dei ghiacciai. Si pensi solo che al Polo Nord, prima del 1979 era impossibile immaginare una rotta commerciale che collega l’Atlantico e il Pacifico, come quella denominata “passaggio a Nord-Ovest. Ora invece lo è. Le temperature sono aumentate in modo vertiginoso, soprattutto nell’ultimo trentennio, nelle terre emerse. Anche gli oceani hanno subito tale aumento, seppur inferiore. Ciò impatta sull’effetto serra, e i dati paleoclimatici presentati dalla relatrice spiegano come negli ultimi centocinquanta anni si sia accelerato un processo di cambiamento climatico che prima avveniva al ritmo di centomila anni. Dire che l’uso di combustibili fossili sia il principale responsabile delle emissioni di anidride carbonica, è un dato incontestabile. L’aumento della CO2 influisce sui fenomeni meteorologici estremi, la cui intensità è attribuibile in prevalenza a cause antropogeniche.

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Uno studio delle Università della California e della Columbia, citato dalla professoressa, dimostra che la siccità del triennio 2007-2010 in Siria sia da annoverare tra le cause scatenanti il conflitto tuttora in corso. Ma ricordiamo anche della guerra in Iraq del 2003, dove più di qualcuno sostenne che la vera motivazione per uccidere Saddam non fu quella di esportare democrazie e diritti, ma di importare petrolio. Si può parlare di effetto serra – effetto guerra? Non saprei. Ma va considerato plausibile.

E qui il discorso si fa interessante perché tocca una questione sensibile per chi agisce in politica. Un evento catastrofico estremo – si pensi ad un’alluvione o al contrario ad un lungo periodo di siccità – è gestito ed impatta in modo molto diverso se si verifica in un Paese industrializzato come l’America, piuttosto che ciò accada in Tanzania o nelle Filippine. Quindi alle diseguaglianze socio-economiche strutturali tra Paesi, si aggiunge il dramma di popolazioni che subiscono gli effetti dirompenti dello squilibrio climatico e ciò può causare emigrazioni di massa. Sempre la docente riferisce che i Paesi più poveri stanno sopportando il 75% dei costi della crisi climatica. Un problema che all’apparenza è percepibile come lontano, specie se si ragiona tra soci di maggioranza che comandano su (e decidono per) quelli di minoranza. Ma se cambiamo paradigma e ragioniamo in termini di fraternità – quantomeno di corresponsabilità universale – non possiamo ignorare che i problemi dell’immigrazione possono essere conseguenza delle nostre stesse azioni (massificate ovviamente). Per capirci: gettare una bottiglia di plastica in un torrente, che poi si riversa in un fiume e quindi nel mare/oceano, ha una responsabilità che va ben oltre la semplice infrazione di gettare illegalmente rifiuti.

La docente quindi richiama l’attenzione sulla categoria della “giustizia“. Un principio che la Dottrina Sociale della Chiesa ha sempre associato alla “pace“. Non c’è pace senza giustizia si sente spesso dire. Tornando alla bottiglietta gettata, il cambio di paradigma quindi è quello di capire che non si butta nel fiume perché non si deve, ma perché è sbagliato, è male!

La seconda parte della lezione viene tenuta da un esploratore di fama internazionale, Alex Bellini, il quale si dedica da circa vent’anni a girare il mondo per cercare risposta ad una domanda di senso fondamentale per tutti: chi sono? Bellini parla quindi della crisi climatica vista dalla prospettiva di chi esplora gli ambienti. E racconta che il suo è diventato un viaggio nel cuore del grido della terra e dei poveri. Ha anche raggiunto l’area definita “isola di plastica“, che però è ben peggio di un’isola visibile. Prenditi una pausa di lettura e guarda il video che segue.

Alex Bellini nel 2019 ha avviato un progetto che ha l’obiettivo di navigare i dieci fiumi più inquinanti di plastica al mondo. Il progetto si chiama 10 rivers 1 ocean

Bellini dice cose bellissime, senza scadere in una disperazione fatalista:

  1. Il vero problema della crisi ecologica è anzitutto il fatto che l’essere umano ha esiliato la natura dalla coscienza delle persone. E ciò accade sia in Oriente quanto in Occidente.
  2. Benché la natura sia un diritto di tutti, in realtà è quanto di più politico possa esserci. Infatti la crisi non sta colpendo tutti alla stessa maniera;
  3. Termini come ambiente, salute, sicurezza, responsabilità non sono accezioni universalmente condivise nel loro significato. E ciò rischia di impedire l’attuazione di politiche ambientali globali.

L’intervento si conclude con parole di incoraggiamento e speranza. Il relatore infatti chiarisce che abbiamo tutto quanto ci può servire per ripulire la nostra casa comune. Il primo passo è prendere coscienza della questione, il secondo sarà quindi quello di conoscere meglio la questione. Il terzo perciò sarà quello di agire. Ma bisogna partire da un atto fondamentale: credere che ognuno può fare la differenza. E da uno sguardo altrettanto importante: pensare oltre sé stessi, nel qui ed ora; e nell’avvenire che vogliamo dare ai figli dei nostri figli e alle future generazioni. E suggerisce di riscoprire l’importanza dello stupore, quell’emozione che sorge quando le persone incontrano qualche cosa di più grande di loro.

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