Martedì 20 aprile, ore 20:45, farò un intervento alla videoconferenza organizzata dai centri culturali Vivere Salendo e Sant’Adalberto, insieme con il giornalista Leone Grotti di Tempi (clicca qui per seguirla in diretta). Avremo a tema il viaggio apostolico di papa Francesco in Iraq. Il primo della storia per un papa e dopo vent’anni dal tentativo di Giovanni Paolo II. Un evento pensato per riflettere, a distanza di poco più di un mese, degli effetti – o meglio, dei frutti – che possono generarsi da questo viaggio di pace. Il cardinal Sako, ad Asianews (un portale che mantiene aperta una finestra sul mondo ad Oriente) ha affermato che la visita del pontefice ha “ha toccato il cuore e la mente di tutti gli irakeni“. Per il primate caldeo – si legge sempre su Asianews – il papa “ha cambiato la mentalità musulmana, soprattutto in un’ottica di maggiore comprensione della fede cristiana” a partire dal fatto che i cristiani non sono politeisti perché il mistero della S.S. Trinità non è un concetto politeista. è stato gettato un ponte vero e proprio, sopratutto con Al Sistani per aver avviato un dialogo anche con la parte sciita dell’Islam dopo l’incontro ad Al-Azhar con la parte sunnita (dove si scrisse la dichiarazione per la fratellanza umana).

I cristiani dell’Iraq hanno fatto la storia di questo grande Paese bagnato dai fiumi Tigri e dall’Eufrate. E loro hanno bagnato quella terra con il sangue del martirio lungo anni di persecuzione. Ma quanto sangue è stato versato lungo la millenaria storia di questi luoghi che erano la Mesopotamia? Dobbiamo tornare indietro di quasi cinquemila anni! In quella regione sono sorte le civiltà dei Sumeri, dei Babilonesi, dei Fenici, degli Assiri, dei Persiani. E proprio dai Persiani si è dato il nome “Erak” (che significa appunto persiano) da cui l’Iraq a partire dal 1921 (esattamente cento anni fa). Qui, nella mezzo della Mezzaluna fertile, è germogliato molto della nostra civiltà. In quelle stesse terre, si è consumata l’epopea biblica del popolo d’Israele, è iniziata la storia della Salvezza. Chissà quali emozioni avrà provato il papa quando è stato ad Ur dei Caldei, luogo in cui è iniziata la storia di Abramo e delle fedi ebraica, cristiana e musulmana.

è una regione che va dagli attuali Egitto all’Iran, che tocca il golfo persico e il Mar Mediterraneo la cui storia è intrecciata con le vicende dell’umanità ed è quindi piena di vicende di guerre, di incontri e scontri tra popoli, di lotte e di perdoni. Come ha detto il papa ad Ur, nell’incontro interreligioso, la profezia di Isaia (Is 2,4) non si è realizzata, e le spade e le lance che dovevano diventare aratri e falci si sono trasformate in sciabole, missili e bombe.

Penso a quelle persone che hanno l’età dei miei nonni e che hanno vissuto un’intera vita di guerra, di incertezza e sofferenza continue. E hanno visto cancellare la loro storia millenaria con la recente furia iconoclasta che ha raso al suolo un patrimonio di umanità che va ben oltre il credo religioso. Come hanno affermato gli archeologi in riferimento alla piana di Ninive e a Mosul (che è stata la capitale dell’Isis) “le dimensioni del disastro sono impressionanti” in cui l’immenso patrimonio archeologico è stato distrutto, depredato, abbandonato all’incuria.

Le distruzioni iconoclaste degli ultimi anni non hanno annientato del tutto la speranza di un popolo, come quello dei cristiani irakeni che – nonostante il tentativo pressante di farli sparire definitivamente da quelle terre – si sono rimessi a ricostruire le proprie case e chiese danneggiate, se non distrutte, dal delirio disumano. Un esempio è la chiesa di Qaraqosh distrutta dai jihadisti e ricostruita, come raccontato dal reportage di Grotti.

Al Tahira, la chiesa dell’Immacolata Concezione a Qaraqosh, simbolo della ricostruzione dopo le devastazioni dello Stato islamico. Qui il Pontefice ha recitato l’Angelus domenica 7 marzo. Il viaggio di Tempi in Iraq in occasione della visita di papa Francesco. DI LEONE GROTTI

Più difficile da ricostruire delle mura c’è il proprio cuore. L’impressionante testimonianza che proviene da quelle terre è quella di chi afferma di aver già perdonato. Nel bel mezzo di una città con la sua identità sventrata, violentata, stuprata ci sono persone che osano affermare parole di perdono. Addirittura, sempre come racconta Grotti, si sono celebrate delle messe per pregare per gli stessi nemici il cui furore non si è spento nemmeno ora, ma sta sotto alle ceneri come le braci in attesa di ridare nuovamente fuoco. Non deve essere per nulla facile, ed è più che umano e comprensibile se molti non si fidano a tornare. Nel 2003 a Mosul vivevano 45 mila cristiani, oggi ci sono solo 50 famiglie. Secondo il rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre di gennaio 2021, i cristiani in Iraq erano 1.400.000 nel 2003 (anno della seconda invasione americana e della destituzione di Saddam) pari al 6% della popolazione. Nel 2015, quindi negli anni della furia di Daesh, erano circa 300.000. Ora sono meno di 250.000, pari all’1%. Cancellare un popolo fisicamente, questo sta accadendo davanti ai nostri occhi distratti. E stiamo parlando del solo Iraq. Andrebbe almeno allargato lo sguardo anche alla Siria e all’Armenia.

Un giro tra le rovine di Mosul, ex capitale del califfato dell’Isis, sventrata e riempita di macerie dalla furia dei jihadisti. Dappertutto i segni della violenza, del sopruso e della guerra. Il viaggio di Tempi in Iraq in occasione della visita di papa Francesco. DI LEONE GROTTI

Il papa è andato là a curare le ferite ancora sanguinanti di questo popolo. Ed è andato là ad incoraggiarli a restare. Restare significa non sparire. Come le specie animali in via di estinzione, con l’unica differenza che la comunità internazionale si volta dall’altra parte e quando si rivolge da quelle parti è per sganciare qualche bomba e destabilizzare ulteriormente la situazione. La questione prescinde anche dal fatto religioso. è diritto di un popolo poter rimanere nella propria terra! è dovere di ciascuno preoccuparsi per le sofferenze di quelle persone e aiutarle a rimanere là, poiché tutti desiderano poter vivere nella propria casa. Come ha dichiarato ACS nel già citato report forse il viaggio di Papa Francesco – contro ogni previsione ed ostacolo – può aver scritto una nuova pagina per la presenza cristiana in Iraq e la pace di quel Paese.

Noi, nel nostro infinitesimale piccolo, proveremo a raccontare le righe di speranza scritte nel cuore del popolo irakeno con il viaggio apostolico del Papa. Sappiamo che è anche dalle piccole e (in apparenza) insignificanti cose che può cambiare il corso della storia.

Clicca sul video e segui la videoconferenza. Appuntamento martedì 20 aprile 20:45

Dedico questo articolo ai giovani cristiani irakeni.

Fonti consultate:

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