Joseph Fadelle, ex-musulmano iracheno di altissimo rango proveniente da una famiglia che era discendente da uno dei fondatori dell’Islam, aveva raccontato la sua storia drammatica in “Il prezzo da pagare un uomo e la sua famiglia in fuga dall’Islam” edito da San Paolo. Pubblicato dieci anni fa.
Fin dalle prime righe del libro emerge tutta la gravità e la sofferenza della sua scelta di diventare cristiano e delle crudeltà, persecuzioni, torture e vessazioni che aveva dovuto subire a partire dal suo clan. Lui era il figlio prediletto del capoclan e per questo aveva onori, potere, ricchezza, e davanti a sé un futuro di capo a cui tutto doveva essere concesso e a cui si doveva obbedire sempre. Tutto era iniziato nel 1987, quando poco più che ventenne Joseph, che allora si chiamava ancora Mohamed, veniva dislocato in una caserma militare a sud di Baghdad. Forte del suo rango sociale era stato dislocato in una caserma in cui di fatto non aveva nulla da fare, e qui avvenne il suo fatale incontro con il cristianesimo.
Gli era stata assegnata una camera da condividere con un uomo cristiano, agricoltore di 44 anni di nome Massoud. Inaudito per un nobile come lui dover condividere la stanza con un “apostata”. Nonostante i suoi pregiudizi dovuti agli insegnamenti inculcati fin da bambino, era iniziato un timido dialogo con questo agricoltore finito lì per un errore di burocrazia, e in attesa di ritornare alla propria casa.
La curiosità e la passione per la lettura di Mohammed lo aveva portato, in un giorno di assenza di Massoud a scrutare il suo giaciglio e a scovare un libretto intitolato I miracoli di Gesù. Da quella prima curiosità e dalla lettura di quel libretto era iniziato un processo interiore che lo aveva portato via via sempre più lontano dalla sua religione di appartenenza.
Mohamed aveva letto il libro con l’intenzione di poter avere argomenti sul credo di Massoud e convertirlo alla sua religione. Voleva dimostrare la superiorità, e quindi la verità della religione islamica, ma non aveva messo in conto la saggezza del suo interlocutore, che gli aveva posto una domanda che avrebbe fatto breccia in maniera determinante sulla sua fede. «Non voglio ancora darti la Bibbia, in ogni caso non subito» aveva detto il cristiano chiedendo se Mohamed avesse avuto con sé il Corano. A risposta affermativa, Massoud gli chiese: «L’hai veramente letto?» incalzandolo: «e pensi di aver capito il senso di ogni parola e di ogni versetto?». Non sapendo più che dire, Massoud allora gli promise di portargli il Vangelo solo se prima avesse riletto il Corano cercando veramente di decifrarne il senso con la propria intelligenza, e cercando di essere sincero con sé stesso rispetto a quanto compreso.
Il resto del libro è il racconto delle conseguenze di questa ricerca di senso di Mohamed, che lo aveva portato prima a confutare interiormente le verità del Corano, e a considerare diversamente la fede cristiana al punto da volervi aderire. Fino alla scoperta da parte di familiari, l’anno di prigionia, l’attentato alla sua vita, l’accoglienza nelle comunità cristiane, il battesimo e la fuga in Europa in condizioni di estrema povertà.
Il nucleo di questo libro è proprio l’incontro tra Mohamed e Massoud, e la capacità di quell’uomo ad avvicinare il musulmano alla fede cristiana non attraverso una disputa teologica o invettive apologetiche, ma con una semplice provocazione che avviò un processo di ricerca razionale sul testo sacro. È un libro che racconta come la fede si possa conquistare anche per via razionale, ma che c’è pure un prezzo da pagare il quale, talvolta, costa la stessa vita.
Il racconto di Joseph non è che una delle tante storie di persecuzione, di rifiuto, di contatto ravvicinato con la paura, la violenza, la morte, di cui sono vittima milioni di cristiani in Medio Oriente. È anche una storia di grande fede quella del protagonista, che per 13 anni aveva rincorso il desiderio, insieme a sua moglie e ai suoi figli, di essere battezzato; 13 lunghi anni in cui anche le porte delle chiese e delle comunità si erano chiuse per paura di accoglierlo, fino all’anno di battesimo nel 2000. Colpisce infatti un passaggio in cui viene riportata una frase in occasione di uno dei tanti rifiuti ricevuti: «Non possiamo sacrificare l’intero gregge per salvare una sola pecora» l’esatto contrario di quello che si trova scritto nel Vangelo. E ciò a dimostrazione di quanto umanamente sia davvero difficile vivere in una terra di persecuzione, in cui gli attentati alla libertà personale e delle comunità sono quotidiani e obbligano ad una prudenza estrema.
Il prezzo da pagare è un libro che racconta la tenacia e la speranza di tante persone che rischiano la propria vita per aiutare il prossimo nonostante le diffidenze e le paure, ma disposte a tutto pur di salvare una vita e ridarle dignità, al punto da organizzare la fuga verso una nuova terra promessa.
Il libro si conclude con una provocazione che interroga personalmente il lettore, il quale si trova – a conclusione della storia – a dover fare i conti con la necessità di perdonare il male subìto. Riuscire a perdonare i propri nemici, i propri persecutori, è frutto di un percorso per nulla facile e scontato, come traspare anche dai racconti di chi ancora oggi subisce ingiustizie sistematiche per il solo fatto di essere cristiani, o di un’altra minoranza religiosa. È un libro che si legge tutto d’un fiato, in cui a momenti manca il respiro per le atrocità commesse, ma nella cui trama si intravvede un filo rosso che, in misure molto differenti per ciascuno, è quel filo di speranza per una vita di pace e serenità che accompagna la storia di tutti.
Con questa recensione concludo il ciclo di articoli di avvicinamento alla videoconferenza di martedì 20 aprile ore 20:45, organizzata dai centri culturali Sant’Adalberto e Vivere Salendo, insieme al mensile Tempi. Spero di aver potuto aprire un piccolo pertugio in mezzo alla coltre di fumo provocata dalla pandemia e dall’infodemia che ormai da oltre un anno ci obbliga a pensare soltanto ai morti, ad aver paura dell’altro, a rimanere chiusi in casa in attesa che i vaccini-messia ci salvino. Mentre in altre parti del mondo c’è chi muore per molto meno: per una parola interpretata come blasfema, per avere con sé un libro chiamato Vangelo, o per aver compreso che la propria libertà vale più di qualsiasi imposizione rituale.
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