Siamo a fine ottobre 2020, mi chiama mia moglie con tono agitato <<Diego, devi tornare subito a casa perché ci hanno segnalato come persone potenzialmente infettate dal Covid-19>>. La sua agitazione è palpabile, io sto concludendo le ultime cose in ufficio, avviso il datore di lavoro della situazione, mi congedo e torno a casa. Il giorno seguente tampone per tutta la famiglia. Per non attendere troppo tempo troviamo un centro piuttosto lontano da casa, sul Lago di Garda, ma è la soluzione migliore. Attendiamo qualche ora in fila all’aperto. Giornata piuttosto ventosa con qualche momento di pioggia. Risultati dei tamponi: io sono positivo. Grazie al Cielo il resto della famiglia no. Inizia l’avventura.
Sono state settimane tra le più difficili del 2020, e pure degli anni precedenti in cui non mi sono fatto mancare granché in quanto a difficoltà. Ma la preoccupazione per la salute dei cari, sentire mia moglie così preoccupata e dover accettare con impotenza che tutto il carico della gestione della casa e dei bimbi era su di lei, perché costretto all’isolamento totale, e divisi, è stato piuttosto difficile da accettare e da vivere. Non è mancata la solidarietà degli amici, alcuni dei quali si sono fatti in quattro per preparare sughi pronti, cibi da scaldare velocemente in forno, o portarci una pizza sulla porta di casa, ed alleggerire il peso della situazione.
Ho preso il Covid nel periodo peggiore del mio anno lavorativo. I team operativi nelle attività più delicate come quelle a contatto con i richiedenti protezione internazionale, a turno si sono contagiati tutti. Si stava uscendo da un’estate rovente in termini di stress lavorativo, con nuovi e complessi lavori da attivare in ambito socio-assistenziale e sanitario, la gestione delle procedure del Covid, il lavoro che ormai aveva sostituito in toto la mia vita privata, fino al progressivo svuotamento del mio ufficio con colleghi che erano fondamentali per la corretta gestione delle attività. Uno svuotamento che ha provocato le dimissioni di interi team di lavoro che a fatica stavo iniziando a consolidare. Il Covid è arrivato come una mannaia che ha sferrato il colpo letale anche su di me. Il burnout era alle porte da tempo, tanto che un formatore professionista mi aveva chiesto, giusto un paio di settimane prima di risultare positivo, se sarei resistito ancora a lungo. Purtroppo la sua domanda era una profezia.

Fin qui ho raccontato una situazione personale in negativo, che ha scatenato sofferenze psicologiche e fatiche al punto da ricorrere ad aiuti esterni. Ma ciò che mi interessa trasferire non è questo. Piuttosto mi interessa trasmettere speranza e fiducia nelle proprie capacità anche quando si è faccia a terra. Mi interessa raccontare che anche quando si ha la faccia dentro la pozzanghera, ci si può rialzare e pulire dalla melma reagendo con determinazione. E quindi mi auguro che questo racconto personale possa esserti in qualche modo di aiuto.
Che cosa ho fatto appena mi sono chiuso in isolamento per 21 lunghi giorni?
Anzitutto ho organizzato al meglio le urgenze sul lavoro, rassicurando colleghi e membri dei team che gestivo. Poi ho fatto in modo che l’azienda non subisse un contraccolpo troppo grave rispetto agli appalti in avviamento in quegli stessi giorni e ho trasferito le informazioni necessarie. Dopodiché, sopraggiunto il burnout e lasciati passare i primi giorni in cui la confusione regnava sovrana, ho reagito e mi sono concentrato su tre aspetti:
- formazione personale;
- aggiornamento e revisione del curriculum;
- recupero di un equilibrio emotivo
Nonostante l’affaticamento fisico e mentale dovuto ai leggeri sintomi provocati dal virus, concentrarmi su questi tre aspetti ha fatto sì che potessi alzare lo sguardo e tentare di delineare un orizzonte fino ad ora non calcolato con l’obiettivo di non lasciarmi determinare dagli eventi, ma di essere io a determinarli. In questo senso, la PNL e il corso practitioner che avevo svolto nel 2019 mi ha aiutato davvero molto a recuperare quelle energie mentali che stavano per essere soffocate. Ho ripreso un programma di video-coaching “da zero a dieci” che avevo acquistato da una delle migliori coaching company italiane: Ekis

è stato davvero fondamentale in quella fase così delicata pescare dallo stato d’animo emozioni buone, di rilancio, che ridessero una spinta positiva. Ciò mi ha permesso di dire: “ok, questa è la situazione e non puoi farci niente. Non si torna indietro quindi ora scegli se lasciarti schiacciare o sollevare il macigno e gettarlo lontano“. Il macigno che mi stava schiacciando l’ho fatto a pezzi, e poi lo gettato un po’ alla volta.
Come ho immaginato il mio futuro nell’incertezza lavorativa che si sarebbe delineata?
Preso atto che il mio ultimo percorso lavorativo si è interrotto, nei fatti, nemmeno dopo un anno dal suo inizio – e ciò non mi stupisce più di tanto considerato il turn-over annuale che ho calcolato all’80% – ho revisionato il mio curriculum e l’ho aggiornato con le moltissime esperienze fatte nei dieci mesi precedenti. Penso di aver prodotto una decina di versioni diverse e ancora oggi non sono pienamente soddisfatto del mio CV. Ma tanto è bastato per fare il punto della situazione, come quando ci si guarda allo specchio e ci si chiede chi è quel tizio lì di fronte. Che cosa ho imparato dall’esperienza maturata? Sono cresciuto professionalmente? Ho acquisito nuove competenze? E ciò che ho imparato, dove lo posso spendere al meglio? Come oriento la mia ricerca lavorativa? Voglio trovare un altro lavoro in cui mi faccio spremere come un limone finché non c’è più nemmeno il succo, oppure colgo l’occasione per valorizzare ciò che sono e so fare senza essere sopraffatto da certi meccanismi perversi? Ed infine, che cosa può mancare al mio CV per renderlo ancor più apprezzabile?
Domande di questo tipo sono state fondamentali, mi hanno concesso l‘opportunità di scavare dentro alle motivazioni più profonde ed inconsce, considerando anche aspetti quali il senso che do io al lavoro, e quindi con quali scopi ultimi intendo lavorare. Chi mi conosce bene sa che concepisco il lavoro come un’opera sociale finalizzata alla realizzazione del bene comune. Applicare questo credo e trovare riscontro nella realtà non è per nulla scontato.
Per testare il mio CV ho anche svolto un colloquio. Il primo in modalità telematica, e spero pure l’ultimo dato l’esito. Anzitutto mi sono preparato come ad un appuntamento in presenza, mi sono connesso puntualmente e dopo una ventina di minuti avevo già concluso. Già dalle domande ho percepito che fosse più un colloquio di cortesia perché ho mandato una candidatura spontanea, e ne ho avuto conferma quando per vie terze ho saputo del feedback. Un riscontro che mi ha fatto incavolare andando a colpire la mia stessa storia personale, esprimendo pregiudizi che hanno rasentato l’insulto. In sostanza chi mi ha incontrato ha giudicato incongruente il mio CV poiché ho sempre svolto mansioni con livelli contrattuali non perfettamente allineati alle responsabilità che ho sempre assunto. E in più c’è stata una domanda implicita che mi ha lasciato interdetto: “come può un diplomato tecnico, inquadrato come operaio, o come impiegato di livello basso, aver svolto mansioni con responsabilità amministrative e manageriali?” A questa persona avrei voluto rispondere che in Occidente la società non è organizzata per caste, in cui nasci povero e resti tale, ed esiste una scala sociale tale per cui se ti diplomi elettricista a diciotto anni, non è uno scandalo se a venticinque dirigi un’azienda. In quella giornata ho pensato a quanto spesso anche noi, di fronte ad una persona, ci fermiamo alle carte che parlano di essa. Nella società del culto dell’io, la reputazione personale è diventata un idolo e non ci accorgiamo di quanto oggi tutti noi siamo influenzati dal sistema delle recensioni nelle sue varie forme. Per conoscere una persona abbiamo sempre bisogno delle recensioni di altri come per scegliere il migliore ristorante leggendo i commenti di chi giudica su Tripadvisor. Chi tra coloro che ha fatto ricerca del personale, non ha mai fatto una ricerca su Facebook o Instagram per vedere preventivamente la vita privata del candidato?
L’incongruenza rilevata sul mio CV, mi ha ricordato le parole di Fratel Vittorino: “nel momento in cui si dà, si riceve molto di più di quanto si è dato“. Ho sempre creduto in questa massima, e in tutti i lavori che ho svolto ho sempre preferito dare molto di più di quanto non mi venisse dato in termini di livello contrattuale, di stipendio e di soddisfazioni. La mia logica è seminare, seminare, seminare. Ciò che raccolgo non lo decido a priori e non è nel mio stile determinare prima la qualità del mio lavoro. Qualcuno la chiama meritocrazia. E il metodo che ho sempre adottato su di me è che prima dimostro il mio valore sul campo, e poi auspico che il valore dimostrato sia riconosciuto. Ma anche qui, una volta sbollita l’emozione negativa, ho reagito e mi sono chiesto: che cosa mi può insegnare questo colloquio? Qual è l’opportunità che si nasconde dietro questo riscontro anche se mi ha ferito? Forse devo migliorare la comunicazione del mio CV e il modo di raccontare la mia storia? In fondo è stato un feedback molto utile.
Se vuoi conoscere il seguito della storia scrivimi via email a diego@diegomarchiori.com e ti mando la password per leggerla nell’articolo successivo. Ti racconterò:
- In che cosa ho investito il mio tempo e un po’ di Euro durante le tre settimane di malattia e il successivo periodo di Cassa Integrazione
- Che cosa ho riscoperto come valori autentici per la vita a cui devo prestare maggiore attenzione

Rispondi