Venerdì 19 febbraio 2021 la Fondazione Magna Carta ha inaugurato la XV Scuola di Alta Formazione Politica, per cui ho vinto una borsa di studio.

Ad aprire il mese di incontri – in modalità online – è stato il professor Lorenzo Castellani Docente di Istituzioni politiche presso la LUISS Guido Carli di Roma.
Castellani, che ha recentemente pubblicato “L’ingranaggio del potere”, fa una disamina storica delle origini della tecnocrazia, coincidente con l’avvento del positivismo di Comte e Saint-Simon.
La tecnocrazia, spiega Castellani, non è altro che il potere dei tecnici. E la tecnica inizia a diffondere il suo dominio con la prima rivoluzione industriale e il successivo sviluppo del capitalismo.
Aziende sempre più strutturate e complesse non possono più avere solo la figura dell’imprenditore-capitalista, ma necessitano di una nuova figura, il manager. Con le prime teorie di organizzazione delle fabbriche (Ford e Taylor) cambia anche il modo di produrre e, con la produzione sempre più meccanizzata, emergono nuove professioni: ingegneri, manager, tecnici specializzati in ogni campo della produzione.
La professionalizzazione sempre più specifica dei lavori – spiega il professore – è favorita anche dallo sviluppo delle università. Nasce così una nuova segmentazione della società che Bell, nel 1970, distingue tra diversi gradi di istruzione e cultura. E laddove i maggiormente istruiti hanno un maggiore accesso alla gestione del potere.

Il professore prosegue con la narrazione storica e i pensatori che hanno caratterizzato lo sviluppo della tecnocrazia. Sconfitti i totalitarismi – eccetto il comunismo – nel mondo occidentale si dà vita al costituzionalismo, si allarga la platea della partecipazione alla vita democratica (suffragio universale) ma allo stesso tempo nascono nuove strutture che – per garantire la vita democratica, la pace e la giustizia – devono avere un ruolo super partes, non vengono elette e quindi si creano delle nuove élites, come le Corti costituzionali, le Banche centrali, le innumerevoli e crescenti commissioni, etc.
Con il New Deal, in America si aprono le porte del potere ai tecnici chiamati a pianificare la vita economica e sociale su larga scala del popolo americano, un processo che coinvolge nei decenni seguenti anche tutte le democrazie occidentali.
Secondo pensatori come Price, la società è così complessa e tecnologica che bisogna ripensare, in senso ingegneristico, la gestione del potere. In tale contesto, si sviluppano i councils che suggeriscono al potere rappresentativo-politico soluzioni misurabili.
Più tardi, Gilbert arriva a sostenere la necessità di creare delle tecnostrutture capaci di rispondere alla società post-industriale.
Il professore accenna alla struttura dell’Europa, nata prima come tecnostruttura con la CECA, e solo poi come partecipazione democratica. L’Unione Europea è un unicum ancora in fase di definizione, ma le cui caratteristiche tecnocratiche e fortemente burocratiche sono alla base dei grandi dibattiti tra europeisti e euroscettici.
Castellani conclude poi con l’attualità, poiché la pandemia ha accelerato il processo di tecnocratizzazione della società, mostrando contemporaneamente i limiti della scienza e della tecnica quando devono compiere scelte politiche. Basti l’esempio noto dei virologi in televisione che dibattono su soluzioni opposte per il contenimento del virus.

  • Le caratteristiche della nuova tecno-democrazia, si possono riassumere come segue:
  • Il neopositivismo della scienza e della tecnica che misura tutto non è stata capace di dare risposte uniformi;
  • La scienza, una volta entrata nell’ambito della comunicazione e delle scelte, si è politicizzata;
  • I vari comitati tecnico-scientifici sono arrivati ad imporre modelli di comportamento con un potere coercitivo maggiore di quanto potesse fare la politica stessa;
  • La pandemia ha favorito, e favorirà un enorme interventismo statale, la conseguente creazione di nuove strutture burocratiche, commissari, aumento del personale tecnico-burocratico. Ci si attende l’ingresso in un nuovo interventismo statale nell’economia con l’alto rischio di un nuovo dirigismo.

In conclusione, spiega Castellani, la tecnocrazia è una caratteristica ineliminabile nell’assetto istituzionale dello Stato moderno. Ma le debolezze della politica, abbandonati gli ideali e le visioni di lungo respiro, si sono acuite al punto da ridursi a mera comunicazione e propaganda. In qualche maniera la politica si è sospesa, e sotto la pressione dei malcontenti popolari si è deresponsabilizzata a vantaggio degli apparati non-politici, tecnici, scientifici, burocratici.
Tali apparati determinano la vita dei cittadini operando scelte politiche, ma senza il rischio di dover essere sottoposti al controllo/giudizio dell’elettorato. Per questo il professore parla di tecno-democrazia.

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