Sunto
Chi guida uno studio professionale deve sapere che gestisce persone oltre ai numeri. Ogni cambiamento è un processo che richiede attitudini e capacità di leadership in grado di attivare nei propri collaboratori la fiducia necessaria per passare da uno status quo ad una nuova situazione in cui possono stare meglio.
- Sunto
- Introduzione
- Quali sono le priorità dei leader HR nell’ambito delle risorse umane?
- Cos’è il cambiamento e come gestirlo?
- La trappola dell’attesa
- Vincere le paure per trasformarle in fiducia
- Cinque driver del cambiamento
- Anche in uno studio si gestiscono persone oltre ai numeri
- Conclusioni
- Consigli di lettura
- Parliamone
Introduzione
Nei giorni scorsi ho ascoltato un webinar del 16 dicembre 2021 “la gestione del cambiamento negli studi professionali“, promosso dal network Partner24 Ore e organizzato dallo studio Paserio & Partners, consulenti del lavoro di Varese specializzati nella gestione strategica delle Risorse Umane.
Quanto segue sono gli appunti (integrati con altre riflessioni) che ho preso durante l’ascolto del webinar con relatrice Sandra Paserio, la quale ha raccontato l’evoluzione del proprio studio fondato nel 1990 quando era una giovanissima consulente del lavoro autonoma e senza dipendenti, ed ora è una coach di collaboratori e clienti.
Quali sono le priorità dei leader HR nell’ambito delle risorse umane?
Tra le priorità dei leader HR a livello mondiale, troviamo la gestione del cambiamento. Il 71% dei leader HR considerano che più del 40% della forza lavoro dovrà sviluppare nuove competenze a seguito del COVID. Ritengono inoltre che il 33% delle competenze presenti nelle offerte di lavoro del 2017 risultano inutili nel 2021, e che per un singolo lavoro è necessario sviluppare un 10% di nuove competenze. (FONTE: Top 5 Priorities for HR Leaders in 2021 – Gartner for HR).
Il 54% dei responsabili HR ha dichiarato che i loro dipendenti, soprattutto dopo il periodo del Covid sono affaticati/destabilizzati. Come incide questo affaticamento sulle performance? I dati sono tutti negativi, il livello di stress sui lavoratori è molto alto ed ha avuto un impatto sulla forza lavoro a livello di innovazione (-30%), di impegno discrezionale (-33%), di performance (-33%), di collaborazione (-38%), di inclusione (-44%), e nell’intento di rimanere (-54%).
Nel 2022, sempre secondo la ricerca Gartner, le 5 priorità e le sfide per i responsabili HR sono:
- abilità e competenze critiche
- progettazione organizzativa e capacità di gestire il cambiamento
- leadership
- strategia per il futuro del lavoro
- diversità, equità ed inclusione
Quindi c’è una stretta correlazione tra performance lavorative e salute delle persone e questo riguarda tanto le aziende quanto gli studi professionali. Perciò, come lavorare sul benessere personale, di team e di ambiente lavorativo?
La combinazione di pandemia, lockdown, spinta alla digitalizzazione e l’emersione di nuove tecnologie digitali come l’AI e i Big Data, hanno imposto alle direzioni HR sfide inaspettate fino a pochi anni fa. Infatti, secondo un articolo di Martina Mauri, ricercatrice dell’Osservatorio HR Innovation Practice e dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano: “La corsa per affrontare l’emergenza nei primi mesi, così come la gestione della “nuova normalità” nella Fase 2 e successive, hanno profondamente messo in discussione le attività condotte da tutte le persone, organizzazioni e Direzioni HR a livello mondiale. È così che le priorità legate all’innovazione digitale si intersecano a priorità emergenziali più orientate al breve periodo”. Secondo Mauri le sfide sono raddoppiate e occorre lavorare su due leve tra loro complementari: la resilienza, termine fin troppo utilizzato, e il people care (per approfondire clicca qui).
Cos’è il cambiamento e come gestirlo?
La relatrice dà una propria definizione di cambiamento, ma qual è la sua origine?
“Il cambiamento è la capacità di imparare qualcosa di nuovo. Uscire da uno schema prestabilito, pensando e variando la traiettoria al verificarsi di eventi imprevisti”
Sandra Paserio
Il desiderio di cambiare nasce o da un malessere o da un’insoddisfazione, o per la nostra sopravvivenza e la nostra crescita. Il cambiamento presuppone l’assunzione di un rischio che è quello di accettare la probabilità dell’insuccesso o del fallimento, ed è ciò che frena molti a cambiare. Ogni volta che si prende una decisione si assume un rischio e non è raro accorgersi quanto sia facile procrastinare all’infinito, proprio per il timore di fallire.
Curiosità, apertura mentale, voler comprendere la situazione, trovare il coraggio per affrontare le paure e andare verso l’ignoto sono elementi che aiutano l’assunzione del rischio, quindi la decisione e il cambiamento.
“Osa sognare, ma per favore agisci, perché i sognatori sono tanti, ma i realizzatori sono pochi”
Brad Montague
La trappola dell’attesa
Nemmeno di fronte ad una situazione che fa (stare) male è automatico prendere decisioni per cambiare. Quando abbiamo un malessere, capita che ci si aspetta che qualcun altro faccia qualcosa. Una forma disfunzionale di deresponsabilizzazione di sé stessi che non porta ad alcun risultato. Ma il cambiamento parte da noi. In questo passaggio la relatrice racconta il percorso svolto dallo studio, ben raccontato in un ebook scaricabile dal titolo eloquente: “Vissuto speziato“, in cui Paserio narra il percorso di cambiamento che l’ha riguardata in prima persona dal momento in cui ha avviato lo studio a soli 23 anni, a quando ha messo il pilota automatico e si è accorta che stava perdendo clientela, fino alla presa di coscienza che era giunto il momento di cambiare approccio e mentalità nella conduzione dello studio.
Vissuto Speziato
Il cambiamento quindi parte da noi. Misurando la capacità di motivare le altre persone, creare i presupposti per un efficace lavoro in gruppo, guidare il gruppo per trovare soluzioni efficaci e sostenibili, trasformare la resistenza al cambiamento in disponibilità, ispirare fiducia, si possono attendere risultati in termini di: influenza, efficacia, design, direzione. Se Paserio fosse rimasta ferma, se si fosse arenata nell’abitudine e nella routine del suo lavoro, forse oggi non sarebbe una Business coach, Assessor certificata e Problem solver strategico e il suo studio avrebbe chiuso.
Vincere le paure per trasformarle in fiducia
Il cambiamento è un processo naturale che vive ognuno, la bravura sta nel gestirlo. Ci sono tre aree del processo di cambiamento: dallo status quo si passa nella zona di cambiamento (gli ostacoli sono: rifiuto, isolamento); poi nella zona di adozione (gli ostacoli sono: incertezza, irritazione, paura, ansia, stress); infine nella zona di innovazione (gli ostacoli sono: paura, panico, resistenza, fallimento / delusione).
La paura, quando diventa panico genera una forte resistenza al cambiamento che è difficile da recuperare. La sfida, quindi, è vincere le tante paure (del dubbio, della preoccupazione, dell’ignoto, della distanza, della negazione, del rigetto, ecc) per trasformarle in fiducia (impegno, passione, sicurezza, inclusione, accettazione, coinvolgimento, apertura).
Secondo la mappa del cambiamento di Six Seconds, il network dell’intelligenza emotiva, il cambiamento è composto da tre parti:
- Motivare (frustrazione vs entusiasmo)
- muovere le persone verso il cambiamento. Le persone sono frustrate, incastrate dentro un malessere. Il compito è creare quell’energia necessaria per trasformarla in entusiasmo e vivere la visione.
- Attivare (paura vs coraggio)
- Nel momento in cui le persone si attivano, iniziano anche a muoversi. Il compito è favorire l’apprendimento, da cui si sperimentano le possibilità.
- Riflettere (giudizio vs curiosità)
- Qui le persone iniziano a vedere i primi risultati e a valorizzarli, i loro sforzi hanno avuto un significato concreto e quindi il compito è aiutarle a riflettere nel percorso che hanno avviato per immaginare il futuro. È qui che le persone si sentono meno giudicate e sono curiose nel provare continuamente il cambiamento.
Cinque driver del cambiamento
Inoltre, sempre secondo Six Seconds citata dalla relatrice, ci sono 6 principi da tenere presenti per guidare il cambiamento:
- Il nostro cervello ama gli schemi
- Il cervello ha bisogno di esercizio per prosperare
- Le emozioni ci aiutano a focalizzarci su ciò che interessa
- Il cambiamento iniziale è solo temporaneo
- La neuroplasticità è una strada a doppio senso
- Le emozioni sono motivanti
Quindi abbiamo bisogno di esercizio continuo per poter prosperare, e di avere emozioni buone che ci aiutino a focalizzarci su ciò che ci interessa. Le emozioni sono motivanti, ma vale anche il contrario. Delle situazioni che cambiano possono diventare funzionali o disfunzionali.
Spesso i tentativi di cambiamento (circa il 60-70%) falliscono. Il cambiamento organizzativo deve essere guidato da sistemi e logiche organizzative, che abbia presente le emozioni che vanno accolte e gestite, sapendo che il processo di cambiamento non è mai lineare. Per fare un esempio: l’installazione di un nuovo software può essere un agente di cambiamento disfunzionale se si ha l’aspettativa che le persone, in automatico, lo accettino come nuovo schema operativo. Dal nuovo software al cambio di scrivania, ogni situazione che determina un cambiamento può avere impatti significativi sia sull’emotività che sull’operatività dei collaboratori. Cosa fare quindi per ridurre il rischio che cambiamenti assunti per migliorare si trasformino in situazioni disfunzionali? Per essere efficaci occorre affidarsi ad un paradigma manageriale che tenga conto degli aspetti emotivi.
Sempre Six seconds individua 5 driver del cambiamento:
- Fiducia (credibilità e coerenza, ispirazione): le persone devono sapere che si possono fidare;
- Motivazione (quanto sono in grado di comprendere le leve per guidare un cambiamento);
- Cambiamento (capacità di trasformare la resistenza in disponibilità);
- Lavoro di squadra (remare insieme, uscire dall’individualismo);
- Esecuzione (messa a terra, azione che trasforma visione in azione);

Anche in uno studio si gestiscono persone oltre ai numeri
Che cosa ha fatto lo studio per uscire dalla situazione di crisi in cui si trovava? Paserio si è confrontata con altri colleghi, con i quali è nato un network all’interno del quale hanno messo sul tavolo le proprie procedure operative, la tecnologia utilizzata, le modalità di interazione con i propri collaboratori, ed insieme hanno trovato delle soluzioni di cambiamento a partire dal proprio stile di leadership.
La principale trasformazione avvenuta è stato il cambiamento da una leadership orientata al compito, alla leadership della delega fiduciaria lavorando su responsabilità ed autonomia dei collaboratori, così pure su un importante lavoro su di sé poiché non è automatico né semplice delegare compiti che fino a quel momento erano propri del capo. Quindi hanno investito nella formazione per acquisire nuove competenze e capire che anche in uno studio si gestiscono persone oltre ai numeri. Per Paserio la sfida più grande non è stata solo quella di delegare, ma di fare un passo indietro occupandosi più delle persone che aveva intorno.
In questo modo Paserio è diventata più coach del suo studio che capo dello stesso, ma questo suo “passo indietro” ha permesso di far crescere le persone e di evolvere nel proprio lavoro al punto che nel 2018 ha costituito la Paserio & Partners, e da lì in poi la fondatrice ha iniziato a mettere a disposizione l’esperienza maturata di consulente strategica per le aziende clienti, con il risultato che non ha solamente cambiato il proprio studio, ma ha anche innovato i servizi ampliando l’offerta per la propria clientela.
Conclusioni
La storia di Paserio & Partners è un esempio di buone pratiche di evoluzione del proprio business e dimostra che fare strategia d’impresa non è soltanto un compito attinente alle aziende che producono beni, ma riguarda anche singoli professionisti e studi professionali strutturati che svolgono servizi e devono adattarsi ad un mercato volatile, incerto, complesso e ambiguo al pari di qualsiasi altra organizzazione. Ogni scelta ed azione strategica che genera cambiamenti significativi, tuttavia, non può prescindere dall’accompagnare le persone in una logica di crescita e formazione continua in grado di affrontare con successo le sfide del mercato, sentendosi timonieri del cambiamento.
Consigli di lettura
Prima di salutarci, offro alcuni consigli di lettura utili per l’argomento
- Ebook Vissuto Speziato (Sandra Paserio)
- Commercialista 4.0. Come diventare un commercialista di successo con i social media (Massimiliano Allievi)
- Partire dal perché (Simon Sinek)
- La velocità della fiducia (Stephen M.R. Covey)
Parliamone
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3 agosto 2022 at 8:04
Mi trovi perfettamente d’accordo,
nella mia vita lavorativa ho avuto la fortuna di vivere 20 da dipendente e 20 da professionista riuscendo nell’una a collaborare con ampie deleghe con i miei datori di lavoro e nella seconda dando le stesse deleghe ai miei dipendenti.
Alla base di una buona professionalità c’è sicuramente la condivisione delle responsabilità, delle competenze e delle soddisfazioni morali ed economiche quando si raggiungono i risultati prefissati.
Quando si riesce ad entrare in questa dimensione è il gruppo che lavora e anche l’ultimo arrivato non si sente “in prestito” alla fotocopiatrice ma da subito viene coinvolto nelle dinamiche di studio.
Il difficile in questi periodi non è non sapere amare e far amare questa professione che a me, soprattutto da un punto di vista umano, ha dato tanto, ma è riuscire appunto a sapere, continuamente, motivare i propri collaboratori e far loro apprezzare il lavoro di squadra come predominante sugli eventi che lo possono investire.
Questo perché ci si scontra e si è continuamente in dialogo professionale con un’imbarazzante e arrogante incompetenza istituzionale che genera inpunemente burocrazia e disagio rendendo vana la professionalità e “dandola in prestito” a moduli, incombenze e pratiche inutili, dannose e farraginose per il mondo del lavoro.
Gli esempi in questi ultimi due anni si sprecano, speriamo non sia sprecata anche la tenacia e la perseveranza con la quale stiamo andando avanti.
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3 agosto 2022 at 8:22
Grazie Sandro per la tua testimonianza. In effetti stiamo vivendo un paradosso: all’aumentare della digitalizzazione stanno anche aumentando procedure che, anziché semplificare, complicano il lavoro
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