Il nostro fare è influenzato dal nostro pensare. Il nostro pensare è alimentato dalle emozioni. Emozioni e sentimenti influenzano i nostri risultati. Cos’è un sentimento e in cosa si differenzia dalle emozioni? Come si collegano i sentimenti produttivi o distruttivi alle competenze? In che modo sentimenti ed emozioni influenzano le decisioni lavorative?

  1. Introduzione
  2. Possono esistere organizzazioni “apatiche”?
  3. Emozioni vs sentimenti
  4. Sei in modalità reactive o responsive?
  5. Gli effetti della “chimica positiva” e l’influenza sulle competenze
  6. Decidere in modalità responsive
  7. La great resignation e la coltivazione dei talenti
  8. Sostieni la mia formazione

Introduzione

Sono domande emerse durante un webinar svoltosi il 14 dicembre 2021 all’interno del network Partner24, che frequento per una società di consulenza allo scopo di sviluppare relazioni, e che ho riguardato di recente. I relatori erano Raffaella Nicolosi, docente e skill coach; e Gianfranco Vercellone, partner di Idea Management Human Capital, società con sede a Milano e oltre 30 anni di esperienza nell’Assesment, ovvero in test di competenza, ed in altre attività come il coaching, la people strategy (misura delle competenze per funzione e ruoli per aiutare il management a prendere le decisioni giuste), learning (formazione manageriale), school (formazione per HR), academy (formazione per manager).

Tra i libri di loro pubblicazione: “Emotional agility” e “Mestiere capo” di Angela Gallo

Possono esistere organizzazioni “apatiche”?

Secondo Dale Carnegie, quando trattiamo con la gente, dobbiamo ricordiamoci che stiamo trattando con creature dotate di emozioni. È importante parlare di emozioni e sentimenti anche sul posto di lavoro, e allora perché è così difficile riconoscerle?

Vercellone, nel webinar, racconta di una sua esperienza con uno dei primi capi, il quale gli ha insegnato che quando si lavora i sentimenti vanno lasciati a casa. Ma è un approccio funzionale? Possiamo lasciare a casa i nostri sentimenti quando lavoriamo, come se fossimo creati in compartimenti stagni? Può un’organizzazione essere “apatica”? Le successive esperienze lavorative gli hanno confermato che non è possibile neutralizzare le nostre emozioni, e nemmeno le altrui. Anzi, queste hanno un influenza significativa sulle decisioni che vengono prese. Perciò esiste una correlazione tra emozioni, sentimenti e capacità/competenze. Cosa sono le emozioni? E i sentimenti?

Emozioni vs sentimenti

Le emozioni sono di forte intensità e breve durata; si attivano in modo volontario, ci aiutano a conoscere l’ambiente e ad intuire potenziali pericoli. Ad esempio: il cane che abbaia e mi spaventa. I sentimenti invece sono caratterizzati da una minore intensità ma hanno una durata più dilatata nel tempo. Sono composti da una complessità di elementi cognitivi e possono diventare un modo di sentire. Ad esempio: penso che tutti i cani mi spaventano sempre.

Tutti viviamo di sentimenti ed emozioni, pensiamo ad un esempio concreto: quando inizio la giornata e qualcosa non funziona tanto da pensare che “la ruota gira male“, cosa succede da quel momento in poi? Cosa provo? Cosa penso? Cosa faccio e che risultati ottengo? L’esempio vale anche al contrario: quando la “ruota gira bene” cosa provo? Cosa penso? Cosa faccio e che risultati ottengo?

Sei in modalità reactive o responsive?

Attraverso questi esempi i relatori hanno aiutato i partecipanti a prendere consapevolezza e razionalità rispetto alle emozioni che si provano. Quando ci sentiamo più insicuri, insoddisfatti o non connessi siamo posti in “modalità reactive” che attivano ormoni come cortisolo e adrenalina i quali, se vengono attivati nel nostro corpo in modo forte e prolungato influenzano in modo negativo competenze e relazioni poiché provocano: paura, avversione, stress, separazione, brama, esaurimento, depressione, senso di inadeguatezza, ecc. Secondo Nicolosi, il distress costa 600milioni di giorni di lavoro persi ogni anno per malattia in Europa, e il 60% dei giorni di assenteismo.

La “modalità responsive“, che loro chiamano “chimica positiva”, è presente quando siamo sicuri, soddisfatti, connessi e produce una risposta intenzionale, calma, lucida ed equilibrata che genera una serie di effetti su di sé e sugli altri quali benessere, apprendimento, piacere, calcolo costi/benefici, gratitudine, ecc.

È quindi utile sapere che quando si è sotto distress non si producono idee innovative poiché si entra in situazioni di sequestro emotivo e di riduzione del proprio campo visivo, a differenza del caso in cui ci si trovi in condizione di eustress.

Gli effetti della “chimica positiva” e l’influenza sulle competenze

A conferma di quanto detto sopra, i relatori citano alcune fonti a dimostrazione che la chimica positiva impatta significativamente sulle organizzazioni:

  • +300% capacità di innovare (HBR)
  • +44% impatto sulla retention (Gallup)
  • +37% aumento delle vendite (S. Anchor)
  • +31% aumento della produttività (S. Anchor)
  • -125% episodi di burn out (HBR)
  • -66% episodi di malattia (Forbes)
  • -51% indici di turn over (Gallup)

Quindi:

+ La chimica positiva– la chimica negativa
apre i centri dell’apprendimento, della creatività, della memoria e dell’ascoltochiude la visione, rende difficile risolvere i problemi e soprattutto fa male alla nostra salute
fonte: slide Idea Management

L’84% delle decisioni che prendiamo partono dall’istinto, il che vuol dire che siamo animati da pulsioni ed emozioni che influenzano in modo determinante le nostre decisioni. Anche se poi siamo in grado di giustificare le decisioni prese in modo cognitivo. Tutto ciò riguarda anche lo sviluppo delle nostre competenze.

Riguardo i sentimenti si parla di “produttivi” o “distruttivi“, mentre per le emozioni si parla di “piacevole” o “spiacevole” e uno degli effetti più significativi, appunto, si hanno sulle nostre decisioni.

Decisione, capacità di scegliere tra diverse alternative con ponderatezza, lucidità, tempestività, in condizioni di incertezza, di complessità e di carenza di informazioni

Decidere in modalità responsive

Mettere in gioco la capacità di decisione significa:

  • stabilire le alternative essenziali e, ove possibile, ampliare le opzioni;
  • prefigurare i risultati attesi e valutare le conseguenze;
  • evitare il ritardo e la precipitazione nel processo di scelta

Le capacità, quindi, come i sentimenti, non sono delle monadi. Le decisioni sono influenzate anche da altre capacità come il pensiero anticipatorio, il problem solving, l’orientamento ai risultati, lo spirito di iniziativa, il people managment, la leadership. Se la decisione è una capacità fortemente influenzata dalla paura, l’ottimismo può essere un sentimento attivatore che aiuta a decidere bene.

L’ottimismo è un sentimento che si manifesta in caso di difficoltà. È la predisposizione d’animo con la quale ci apprestiamo ad affrontare le diverse situazioni condizionando in modo determinante i risultati delle nostre azioni. Ottimismo, deriva dal latino optimus (il migliore) ed esprime la tendenza a considerare prevalentemente gli aspetti migliori della realtà.

L’ottimismo, perciò, si alimenta della fiducia di sé e per/con/degli altri e attiva tutta quella “chimica positiva” che permette di mantenere uno sguardo ampio, e di essere responsivi nelle decisioni, oltre che nelle relazioni. La responsività, secondo alcuni autori, si radica nella relazione che ci costituisce e ci precede ed ha una dimensione “ecologica” che risponde al legame che ci unisce. La responsività è l’opposto della reazione (rif. Nella fine è l’inizio. In che mondo vivremo. Chiara Giaccardi e Mauro Magatti. Ed. Il Mulino, 2020)

A conclusione del webinar Nicolosi sottolinea quanto sia importante riconoscere i propri sentimenti distruttivi ed imparare a gestirli e, al contrario, coltivare i sentimenti produttivi ed investire su di essi.

La great resignation e la coltivazione dei talenti

Quello che è accaduto appena dopo la pandemia e il lockdown – che ha costretto tutti a fare i conti con la paura prolungata, il senso di fragilità e di incertezza – con il fenomeno della great resignation e che ha interessato il 70% dei giovani lavoratori tra i 26 e i 35 anni, dimostra quanto i relatori abbiano ragione nell’affermare che emozioni e sentimenti non possono rimanere a casa, chiusi in un cassetto, mentre si sta al lavoro. Il fenomeno della great resignation deve portare a riflettere sull’emotional agility e sulla capacità delle imprese di creare condizioni organizzative ideali per i propri collaboratori tali da trattenere i talenti e diventare attrattive verso quelle risorse umane che sono alla ricerca di imprese in grado di integrare sentimenti ed emozioni nel proprio ecosistema organizzativo.

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