La quinta giornata di Meeting di Rimini, ha coinciso con la chiusura della kermesse iniziata il 20 agosto, e la cifra della giornata la racconto con tre parole chiave: “macchina”, “lavoro”, “uomo”. Sono le tre parole finali che coincidono anche con gli argomenti delle uniche due conferenze che ho ascoltato prima di fare ritorno a casa.

Macchina. La conferenza “La macchinizzazione dell’uomo e l’umanizzazione della macchina” è stata animata dal dialogo tra Paolo Benanti e Miguel Benasayag sulla sfida della nostra epoca che riguarda la rivoluzione digitale e l’impatto sulla vita umana. Tra le diverse suggestioni emerse sulla crisi di umanità attuale, sull’antitesi artefatto/tecnica, realtà/immaginazione, ecc, Benasayag ha spesso fatto l’esempio dell’ascensore, che è una macchina a cui noi diamo un significato: quello di salire e di scendere; ma che in realtà quel significato è proprio dell’umano poiché la macchina-ascensore, in realtà, o funziona oppure non funziona. Quindi, secondo il filosofo e psicanalista argentino, la questione non è tanto cosa sia la macchina, ma la potenza raggiunta dal digitale obbliga a porsi la questione di che cosa sia il vivente, a partire dal rischio che si corre man mano che si delegano sempre più funzioni alle macchine diventando sempre meno potenti, meno capaci, fino a confondere il linguaggio umano con un codice binario.

Lavoro. La seconda parola chiave della giornata rimanda all’ultima conferenza a cui ho partecipato dal titolo “Il futuro del lavoro” ed organizzato dalla Compagnia delle Opere. Il lavoro che, specie con le conseguenze della pandemia, da un lato ha fatto esplodere la domanda di senso e dall’altro ha accelerato esponenzialmente una rapporto sempre più ibrido tra casa e ufficio, tra lavoro analogico e lavoro digitale. Proprio nel lavoro, si condensa la sfida epocale dell’essere umano con la tecnologia digitale, con gli algoritmi, i big data, l’intelligenza artificiale e il modo in cui l’umanità darà significato alla macchina sarà anche la direzione che prenderà il futuro delle nostre società.

Uomo. Se il lavoro è il luogo proprio della sfida epocale con la rivoluzione digitale, l’uomo è l’oggetto di tale sfida. Benasayag ha parlato di colonizzazione delle macchine, ma è sempre una colonizzazione passiva poiché le macchine non pensano, non scelgono, e quindi è l’uomo che in qualche maniera sceglie di farsi colonizzare. Un esempio particolarmente utile è stato quello del filosofo argentino inerente una ricerca scientifica a cui ha partecipato sull’utilizzo del navigatore GPS dove si è dimostrato che coloro che si sono abituati a delegare alla macchina la ricerca della strada migliore per raggiungere un punto B da un punto A, hanno subito un’atrofizzazione dei neuroni dell’orientamento. Perciò la sfida non è tanto quella di credere che arriveranno i “terminator” – come ha detto Benanti – ma di evitare che l’eccessiva delega di funzioni alla macchina disumanizzi, cioè renda meno umano, l’umanità stessa.

E sono così giunto al termine del mio diario dal Meeting, con l’auspicio di aver trasmesso un po’ di quella passione per l’uomo che mi anima da sempre e che durante le cinque giornate riminesi ho potuto approfondire attraverso i tantissimi incontri di persone, di conferenze, di mostre che ho vissuto.

Oggi ho incontrato: Massimo

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